«I prodotti usa e getta sono stati inventati dopo la
Seconda guerra mondiale per la loro praticità e come incentivo al lavoro e
mezzo di promozione della crescita economica. Si riteneva che a un maggior
numero di merci prodotte e gettate sarebbero corrisposti nuovi posti di lavoro.
Quello che ha reso l’usa e getta così popolare è la sua praticità. Agli
strofinacci o ai tovaglioli in stoffa i consumatori hanno con piacere preferito
le versioni in carta. Abbiamo così sostituito i fazzoletti in tessuto con
quelli di carta, gli asciugamani con le salviette e i contenitori
riutilizzabili per le bevande con quelli monouso. Anche le buste della spesa
usate per trasportare i nostri prodotti domestici entrano a far parte del
flusso dei rifiuti. L’economia dell’usa e getta è in rotta di collisione con i
limiti del nostro pianeta. Oltre ad avere sempre meno spazi disponibili per
creare delle discariche intorno alle città, la terra sta esaurendo le risorse
di petrolio a basso costo necessario per produrre e trasportare i prodotti
monouso. Inoltre, ancora più importante, è il fatto che le risorse non
rinnovabili (piombo, stagno, rame, materiali ferrosi o bauxite) necessarie per
la fabbricazione di alcuni di questi prodotti sono disponibili in quantità
predeterminata sulla Terra e non possano dunque sostenere l'attuale modello
economico nel prossimo futuro». (Lester Brown)
Già dal luglio 2016 la Francia ha messo al bando le
buste in plastica, anche quelle trasparenti, che in Italia sono ancora permesse
(e infatti inondano i reparti e i mercati ortofrutticoli), adesso ha deciso di
mettere al bando anche coltelli, forchette, bicchieri, tazze e piatti di
plastica usa e getta.
Ricordiamo l’impatto ambientale e sociale della
produzione della plastica: per produrre 1 kg di plastica si consumano 4 litri
di petrolio (1 litro come materia prima e 3 come fonte energetica), 200 litri
di acqua, e si producono 5 kg di gas serra e altre scorie tossiche (dati del
Wuppertal Institute). Quotidianamente vediamo gli effetti della nostra
dipendenza dal petrolio: la guerra in Siria, così come tante altre guerre, è
una “oil war”.
Federico Amalfa e Rosy Gilio
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